Dice ai giudici di Milano Maurizio Bianchi, l’ex revisore di bilancio della Grant Thornton che si occupava della Parmalat: "Ci siamo trovati un giorno in Parmalat Finanziaria con Deloitte (revisore principale della società di Collecchio, ndr) e il collegio sindacale". Temi all’ordine del giorno della riunione: il fondo Epicurum, che al momento del crack si rivelerà inesistente, e la vendita di latte in polvere a Cuba, un altro falso clamoroso. Di entrambe le operazioni il collegio era stato tenuto all’oscuro. Eppure nel fondo Epicurum, domiciliato alle Cayman, risultavano investiti poco meno di 600 milioni di euro di liquidità. E il commercio di latte in polvere con L’Avana raggiungerà, sulla carta, le 300mila tonnellate.
Considerata la mole di queste operazioni, che ricadevano sotto la supervisione di Grant Thornton, Deloitte & Touche per certificare il bilancio consolidato avrebbe dovuto pretendere una documentazione di supporto. Un investimento in un fondo delle Cayman si giustifica solo con l’attesa di rendimenti elevati. Ma nessuno chiese mai un’indagine al riguardo: né Grant Thornton, né Deloitte, né i sindaci. Nessuno si accorse che la Camfield, la società da cui veniva fatto "transitare" il latte in polvere per Cuba, non era consolidata nel bilancio Parmalat pur essendo amministrata da due manager di Collecchio: Claudio Pessina e Angelo Ugolotti (un fattorino che fungeva anche da segretario di Fausto Tonna). Eppure non era questione di poco conto.
Come spiega il Pm Francesco Greco nel corso dell’udienza, "gli utili del gruppo Parmalat si facevano solo col latte in polvere", un’attività fantasma. E Grant Thornton sapeva: Camfield era domiciliata presso la sua sede di Singapore.
Inoltre, tra le attività della Bonlat, la società delle Cayman che fungeva da "discarica" contabile, figurava un falso contratto di asset investment management con Bank of America per la gestione dei titoli. Tale contratto, sulla carta, dava diritto a Bank of America di vendere e riacquistare al valore nominale bond emessi dal gruppo Parmalat. Tra i titoli presenti nell’estratto conto sequestrato dagli inquirenti figuravano bond General Electric, Goldman Sachs e di altre società per un totale di 849 milioni di dollari e obbligazioni Parmalat mai riacquistate per un valore di 2,8 miliardi di euro.
Tra le altre stranezze, dal rendiconto della Bonlat del primo semetre 2003 emerge un contratto di utilizzo del marchio Santal a una società americana: marchio – si badi bene – di proprietà della Parmalat e non della Bonlat. Ed emergono anche profitti anomali per svariate decine di milioni di dollari che si riveleranno inesistenti. In particolare, uno strano credito nei confronti della Tetrapack, il fornitore di contenitori per il latte.
I revisori avrebbero dovuto mettersi in allarme per queste gravi anomalie e a loro volta mettere in guardia il collegio sindacale. Invece si adoperarono per coprire ogni irregolarità di bilancio. Questo emerge dal racconto di Maurizio Bianchi.
CONTINUA. – Guarda la puntata di Report sul crack Parmalat: "Buconero S.p.a.", di Sigfrido Ranucci