Proseguiamo con le rivelazioni dell’ex revisore dell’allora Grant Thornton Maurizio Bianchi rese al Tribunale di Milano il 24 gennaio 2008, durante il processo Parmalat per aggiotaggio. In aula c’è il pubblico ministero Francesco Greco (nella foto). Come è emerso dalla precedente puntata, Bianchi ha scoperto fin dal 1996 che nei conti della Parmalat “ballano” svariate centinaia di miliardi di lire. Ma su richiesta del direttore finanziario di Collecchio, Fausto Tonna, accetta di firmare comunque il bilancio. E di avallare il falso. Nel 1997 una brava dipendente della Grant Thornton, Laura Cuni Berzi, si accorge che somme assai consistenti, per un totale di 740 miliardi di lire, entrano ed escono dai bilanci del gruppo emiliano senza alcuna spiegazione plausibile. Segnala l’anomalia ai colleghi Bianchi e Lorenzo Penca. Ma questi sono ormai complici di Tonna, dal quale hanno già ricevuto l’ordine di costituire la Bonlat. Ecco come nasce la discarica contabile delle Isole Cayman nel novembre 1998.
BIANCHI: “…Il ’98 era il nostro ultimo anno di revisione contabile e quindi doveva arrivare un revisore nuovo…Avevamo il problema che in Curcastle e Zirpa (due finanziarie offshore del gruppo Parmalat, ndr) c’erano dei crediti che eran lì fermi da tempo, da anni,…erano diciamo immobilizzati. E…non si sapeva bene se erano o non erano esigibili. Il fatto poi che avevamo ceduto alle richieste di Tonna a suo tempo per…l’occultamento dei conti bancari, aveva accresciuto in lui…l’arroganza…ci teneva a distanza…per cui ci trovavamo…con la preoccupazione che il revisore che subentrava avesse da ridire su come avevamo o non avevamo trattato queste posizioni”.
E’ così che nasce l’idea di scaricare questi crediti in una società costituita ad hoc, la Bonlat, di cui Grant Thornton – confessa Bianchi – effettuò la revisione gratuitamente per il primo triennio, nella veste di revisore secondario.
“Si arrivò a ipotizzare di avere un’altra finanziaria – dice Bianchi – nella quale inserire questi crediti, che però prima o poi dovevano essere in qualche modo sistemati…Mi chiamò un giorno Tonna in ufficio e mi disse se avevamo dei corrispondenti alle Cayman…contattai i nostri delle Cayman…e questo fu, diciamo, tutto il mio apporto…tenere i contatti tra Tonna e i nostri corrispondenti per gli aspetti formali di costituzione”.
Greco: “Ma dov’è che aveva sede la Bonlat?”
BIANCHI: “Alle Cayman, ufficialmente”,
GRECO: “…Però la documentazione contabile dov’è che stava?”
BIANCHI: “…Ci veniva fornita da Tonna e da Bocchi (Gianfranco, un contabile della Parmalat, ndr)…Era tenuta lì a Collecchio…Sapevamo che il bilancio veniva formato lì…I primi anni credevo che…la documentazione fosse tenuta…alle Cayman…, verso la fine invece abbiamo capito che…la contabilità la facevano lì, facevano tutto lì…”
GRECO: “E da cosa l’avete capito?”
BIANCHI: “Del Soldato (Luciano, responsabile del controllo, alle dipendenze di Tonna, ndr) un giorno mi ha detto: “Non dite che la contabilità è qua, perché se no il Fisco…questo nel 2003…”.
Si arriva dunque al passaggio delle consegne tra il nuovo revisore, Deloitte & Touche, e la Parmalat.
BIANCHI: “Il passaggio…con Deloitte avviene di fatto nel ’99…, il nostro ultimo atto da revisore principale è stata la semestrale del ’99…mentre Deloitte ha fatto come primo atto la revisone del bilancio ’99…Abbiamo messo a disposizione tutte le carte dei lavori che seguivamo…poi che cosa abbiano fatto non lo so…perché…non mi è stato mai formalizzato o ufficiosamente detto se c’erano cose che non andavano bene…”.
GRECO: “…Non ha mai avuto contatti con i capi della revisione Deloitte di Parmalat…?”
BIANCHI: “…Non ho mai avuto incontri tecnici se non fino al 2000-2001, quando c’era il discorso Sumitomo…C’era questo swap con la Sumitomo Bank che era stato rescisso anticipatamente e Bonlat aveva fatto una plusvalenza di 159 milioni di dollari…Era…qualcosa di decisamente anomalo per questo tipo di operazioni e quindi destava la curiosità…di tutti…A seguito di questo, poi, il dottor Mamoli (Adolfo, di Deloitte, ndr) mi formalizzò con una lettera una richiesta di…precisazioni, di controlli da fare…, per cui io risposi qualche tempo dopo dandogli le informazioni che aveva chiesto”.
Per quali vie riceveva Grant Thornton i documenti contabili della Bonlat da sottoporre a revisione?
BIANCHI: “…arrivavano sempre via fax,…in Parmalat”.
Poiché la Bonlat non aveva dipendenti, la revisione veniva effettuata su un campione di documenti contabili che Grant Thornton, piuttosto che sul suo fax, accettava di ricevere sul fax della Parmalat.
Non solo: i documenti arrivavano sempre all’ultimo momento, dopo svariate sollecitazioni. “Era il solito sistema di Tonna – dice Bianchi -, rallentare sempre le cose, arrivare all’ultimo secondo, a ridosso” per giustificare la spedizione dei documenti via fax ed evitare la consegna degli originali.
La procedura attraverso cui Grant Thornton riceveva i documenti era in sostanza irregolare, contraria a quanto indicato nei principii di revisione, e la spedizione degli orginali per posta, che avrebbe dovuto seguire l’invio dei fax, veniva regolarmente elusa.
Per di più la documentazione era sempre carente.
Del conto Bonlat presso Bank of America, su cui risultavano in giacenza oltre 4 miliardi di euro di liquidità, non si sapeva chi avesse il potere di firma e la conferma del saldo arrivava sempre per fax.
GRECO: “…Lei sostanzialmente…ammette queste irregolarità nella procedura di revisione…?”
BIANCHI: “Certo…in particolare per Bonlat, Deloitte vedeva tutte le nostre carte,…le ha viste…nel passaggio (delle consegne, ndr), ma anche durante i cinque anni di attività di revisione. E quindi aveva tutte le informazioni che avevamo noi, anzi… qualche volta mi sembrava che avessero delle informazioni in più…a volte sembravano anticiparci su certi argomenti…”.
Pur non lavorando alla revisione della Bonlat, di cui s’occupava la Grant Thornton, la Deloitte era al corrente di tutto.
GRECO: “…Ma perché lei in tutti questi anni non ha sentito la necessità, il dovere di liberarsi o comunque di fare il suo dovere, cioè di denunciare quanto meno al collegio sindacale o alla Consob questa situazione? Per un problema di posto di lavoro?”
BIANCHI: “Sa, quando uno è ormai dentro in un giro così…diventa difficile…anche prendere certe decisioni”.
GRECO: “Voi ogni anno chiedavate a Bank of America tante informazioni e ricevavate solo una pagina…?”
BIANCHI: “Mezza pagina”.
GRECO: “…Mezza pagina…addirittura via fax…Voi di questo conto praticamente non avevate mai chiesto conto?”
BIANCHI: “Non abbiamo mai chiesto…. Sempre a ridosso (della chiusura del bilancio, ndr) arrivava il fax…”.
GRECO: “…E però su questo benedetto conto bancario giravano diverse operazioni,….per esempio il riacquisto dei bond (emessi dalla Parmalat, ndr).
BIANCHI: “2 miliardi e ottocentomila euro”.
GRECO: “E tutto questo movimento non indifferente di denaro…lo verificavate solamente attraverso quel saldo…?”
BIANCHI: “…avevamo gli estratti conto”.
GRECO: “…Ma non [bisognava]…chiedere agli amministratori…la delibera del consiglio d’amministrazione…e il motivo per il quale [veniva] fatta?…Io queste due cose non le ho viste nelle carte di lavoro”.
BIANCHI: “Perché non c’erano…Le avremo anche chieste, ma…Tonna ti diceva: non c’è nessun obbligo, non rompetemi con queste richieste..”.
II PUNTATA
(la precedente è stata pubblicata il 7 maggio)